Museo della Lingua Greco-Calabra “Gerhard Rohlfs” Bova RC Via Sant'Antonio, 89033 tel.: 0965 762013
MUSEO DELLA LINGUA GRECO-CALABRA"GERHARD ROHLFS"
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La Giudecca è un quartiere di Bova che fu abitato, tra la fine del XV secolo e gli inizi del periodo successivo, da una piccola comunità ebraica. Quasi del tutto dimenticata, questa suggestiva porzione di spazio urbano, è stata inserita all’interno di una sezione del Museo della Lingua Greco-Calabra Gerhard Rohlfs e valorizzata dall’installazione di arte contemporanea dell’artista Antonio Puija Veneziano.
Le prime testimonianze della presenza a Bova di una comunità ebraica risalgono alla fine del Quattrocento. Sappiamo, infatti, che nel 1502 la Regia Corte di Napoli lamentava di non aver riscosso i tributi fiscali che la Giudecca di Bova doveva all’erario fin dal 1497.
Lo scoppio della prima guerra di Italia intrapresa a Seminara nel 1495, tra la Spagna e la Francia per la conquista del regno napoletano degli Aragona, fu la causa del mancato pagamento delle imposte. Successivamente, il 23 Agosto del 1503, i sei nuclei familiari (fuochi) che costituivano la comunità giudaica bovese, versarono, per mano di Antonio Carnati, 9 ducati, relativi ai tributi fiscali imposti agli ebrei del Regno di Napoli. Sei fuochi si registrarono anche nel 1508, quando i giudei bovesi chiesero alle autorità di saldare le tasse a rate, segno evidente di possibili difficoltà economiche.
L’insediamento ebraico a Bova potrebbe risalire alla cacciata dei giudei dalle terre di Spagna, nel 1492. In quell’anno degli ebrei di Sicilia si trasferirono a Reggio, dove due anni dopo furono smistati in tutto il circondario. Il secondo editto di Ferdinando il Cattolico (1511) che decretò l’espulsione degli ebrei dal Regno di Napoli, determinò l’abbandono della giudecca di Bova. In quello stesso anno, le autorità locali chiesero la cancellazione dai ruoli fiscali della Giudecca di Bova. Ciò nonostante una cronaca bovese, redatta del 1774 dall’erudito Domenico Alagna, ricorda che gli ebrei furono scacciati solo nel 1577, con l’accusa di aver diffuso la peste.
E’ proprio Domenico Alagna a fornirci informazioni dettagliate sulla localizzazione della Giudecca di Bova, indicata ai margini della città, nel quartiere di Pirgoli (dal greco “torri”), confinata tra due porte che si aprivano rispettivamente a Sud, nelle vicinanze della Torre della Porta, e a Nord nei pressi della Torre Aghios Marini.
A seguito del terremo del 1783 l’assetto del quartiere subì notevoli trasformazioni. Rimase in piedi solo una delle tre torri che proteggevano il quartiere mentre all’indizio di via Pirgoli fu costruito Palazzo Mesiani Mazzacuva. Tra le due ali dell’edificio si nota infatti un antico ingresso, munito nella parte alta di una feritoia, da riferirsi ad una struttura tardo medievale, identificabile con la porta meridionale della Giudecca.
Degno di nota è inoltre la presenza del toponimo ittu nei pressi della Porta Aghios Marini. Il termine potrebbe essere interpretato in vari modi e riferirsi o ad un luogo di discarica, così come il sito trovava destinazione fino ad alcuni anni fa, o ad una zona infima e sporca, in allusione proprio alla residenza di giudei, così come documentatoanche in altri centri dell’Italia Meridionale.

L’entità dei terremoti che interessarono il borgo di Bova fin dalla seconda metà del Cinquecento rende oggi ardua l’interpretazione dell’assetto originario della Giudecca. In ogni modo la topografia attuale quartiere di Pirgoli lascia ancora trecce degli spazi vitali e delle relative destinazioni d’uso riconducibile alla comunità giudaica del tempo.

E’ bene ricordare che gli ebrei avevano bisogno di ricorrere a quello che viene definito “mimetismo strategico” specialmente nell’edificazione dei luogo di culto. Per gli ebrei della Diaspora, la giudecca non rappresentò mai una vera e propria città, quanto un’aggregazione  “temporanea”  che riutilizza sistemi insediativi preesistenti.

Nell’immaginario  collettivo ebraico, l’unica vera città era rappresentata da Gerusalemme, mentre il solo edificio sacro ufficialmente riconosciuto rimaneva il Tempio che l’imperatore Tito aveva distrutto nel 70 e. v..
Nonostante ciò, già nel Medioevo, gli insediamenti ebraici si distinsero sempre di più per la presenza di specifici spazi urbani, rispondenti da un lato alle norme religiose, - che li obbligavano ad avere ambienti deputati al culto e alla trasformazione dei cibi - dall’altro alla politica di integrazione che si venne di volta in volta a creare con le comunità residenti, sempre attente a definire una linea di demarcazione per evitare contatti tra cristiani e giudei.

La collocazione del quartiere ebraico bovese in un luogo marginale della città è un fattore indicativo, rispetto possibili tensioni con la comunità cristiana locale. Per gli stessi motivi la giudecca di Bova si trovava nelle vicinanze dei fulcri del potere militare o religioso della città, considerati  fattori necessari di protezione politica, visti i frequenti scoppi di conflittualità con la popolazione residente. Gli ebrei bovesi risiedevano infatti nei pressi del Palazzo Vescovile e non lontano dalla roccaforte militare, ancora in uso nel 1586.

Non meno interessante è la corrispondenza tra il numero dei fuochi ebraici, documentati a Bova nei primi anni del Cinquecento (6 fuochi), e la densità di abitanti in un quartiere, circoscritto per  ragioni morfologiche, al solo pendio roccioso, in quanto delimitato ad Ovest dalla cinta muraria.
Un’altra analogia, che il quartiere di Pirgoli condivide con le giudecche calabresi e siciliane, è la sua posizione in prossimità della principale porta cittadina (Porta della Torre), a ridosso degli assi commerciali e delle vie di transito intenso. Stessa cosa può dirsi a proposito dell’esistenza, nel quartiere bovese, di un’unica via di accesso, lungo la quale si disponevano, con molta probabilità, le strutture architettoniche deputate ad ospitare attività economiche.

Non sembra azzardata l’idea di rapportare la vocazione al commercio degli ebrei regnicoli con le due più importanti attività produttive della diocesi di Bova: la sericoltura e l’estrazione della pece, ampiamente documentate nel resto della Calabria.

Interessante è inoltre la presenza a Pirgoli di un pozzo, oggi inglobato nella corte di Palazzo Mesiani, elemento indispensabile ai bagni rituali e alla macellazione di carni kosher. Nessuna traccia è stata ancora individuata della sinagoga. Una ipotesi suggestiva prende spunto da una struttura quadrangolare a muratura sottostante una finestra, decisamente degna d’attenzione, che si innalza in un ambiente, antistante Palazzo Mesiani, destinato ancora nella prima metà del Novecento a ricovero per animali.

Antonio Pujia Veneziano ha creato la sua installazione artistica elaborando una serie di ceramiche invetriate e graffite dal   titolo  "PIRGOS CERAMICHE PARLANTI",  all’interno   delle   quali   scorrono frammenti concernenti notizie sugli ebrei a Bova tra la fine del XV e gli inizi del secolo successivo, così come riporta anche una cronaca bovese del Settecento.
L’opera di Pujia si è basata non soltanto sulla manipolazione della materia ceramica come semplice esercizio espressivo, ma anche e soprattutto sul gioco della percezione attraverso le iscrizioni che si avvolgono a  spirale,  divenendo forma  e figurazione  al tempo  stesso. Tale  espediente induce  il fruitore dell’opera a prestare maggiore attenzione al testo, soffermandosi sull’interpretazione della scrittura stessa, così come del resto fa uno storico di fronte alle fonti d’archivio. Le frasi riprodotte sono riportate secondo la grafia del XVIII secolo e nello specifico riportano le seguenti iscrizioni, riprese dai testi di Domenico Alagna, 1775:

Nel  quartiere  detto  Pirgoli dal  greco  vocabolo  pirgos,  cioè  in  latino  torre,  per  la  molteplicità  delle  torri attaccate alle esterne mura del suddetto quartiere, furono situate molte famiglie degli ebrei,
fuggiaschi dalla Giudea.

Quindi devesi notare che tal quartiere di Pirgoli sin oggi giorno si appella il quartiere degli Ebrei,
quali anticamente contenea.

 ...molte famiglie degli ebrei, fuggiaschi dalla Giudea, erano chiuse non altrimenti che quelle di Roma, da
due parti,cioè l’una porta vicino la torre di Ajos Marini, l’altra sopra la Porta della Torre.

... ancora una  ulteriore porta  che menava fuori la città,  distante XX passi a settentrione dalla Porta della
Torre, fu chiusa dopo che furon discacciati gl’ebrei,verso il 1578.

.. i cittadini sopravvissuti alla pestestimando di aver venuto tal castigo alla città per aver dato
ricovero agli Ebrei, li discacciarono con ogni sorta di villanie, ne più gli diedero albergo.

Ai   cinque   tondi   se   ne   aggiunge   un   altro  incastonato   su   una   parete   della   giudecca   di   Bova   e confinante con Palazzo Mesiani, che segna la sintesi dell’intervento e  che riprende un particolare
della planimetria urbana della giudecca, esaltando la percezione dello spazio un tempo abitata da
genti di religione ebraica. Un luogo della memoria e nello stesso tempo un luogo nel quale la mente
e lo spirito possono vagare liberamente.  Come  già  annunciato nella  fase di  divulgazione del progetto infine,  sono  stati  promossi  alcuni incontri   di   arte   partecipata,   con   momenti   di  laboratorio   creativo   della   ceramica,  coordinati dall’associazione Aleph Arte, con l’intento di RACCONTARE IL TERRITORIO attraverso segni e impronte. Durante gli incontri sono stati realizzati numerosi piccoli piattini e medaglioni in ceramica con elementi decorativi simbolici, allusivi alla cultura ebraica, come ad esempio Menorah, Melograni e Nodi di Salomone, che hanno trovato spazio accanto all’opera del maestro Pujia Veneziano, in un dialogo intenso e poetico. Gli incontri hanno visto la partecipazione di numerosi bambini e adulti.
Nel corso di questi laboratori sono state anche elaborate e prodotte due piastre in ceramica che riportano  la dicitura  Porta   Meridionale   della   Giudecca  e  Porta  Settentrionale   della   Giudecca, collocate in prossimità degli ingressi al quartiere detto di Pirgoli. Le   opere   sono   state   collocate   dalla   cooperativa   Satyroi,   previa   leggerissima   scalfitura   della muratura, utilizzando colle epossidiche, successivamente stuccate nei bordi dei piatti ceramici con malte compatibili.  Anche   per le piastre   quadrangolari  sono state  utilizzati  gli stessi materiali  e procedimenti.